04.11.2014

Mina Welby: “Chiediamo una fine dignitosa e il rispetto della nostra volontà”

Mina Welby: “Chiediamo una fine dignitosa e il rispetto della nostra volontà”

Il diritto all’eutanasia è legato al principio di autodeterminazione. A far paura sono la sofferenza, il dolore, la non conoscenza.

Intervista di Giacomo Galeazzi a Mina Welby, La Stampa – «Mi sono immedesimata in Dan Diaz, il marito di Brittany Maynard. Ho ripercorso gli ultimi istanti di Piergiorgio. Lui ha continuato a vivere nei miei ricordi e così accadrà anche a Brittany nei ricordi di Dan». Nel 2006 Piergiorgio Welby, affetto da distrofia muscolare, chiese il distacco dal respiratore dopo essere stato sedato. Sua moglie Mina traccia un parallelo tra le due vicende.

Cosa unisce il caso di suo marito a quello di Brittany?
«Il rispetto della volontà di un paziente in condizioni gravissime. Entrambi amavano la vita fino alla fine. Della vita fa parte anche la morte. Non consideravano la vita qualcosa da portare avanti con qualunque sforzo, a scapito della dignità. Hanno vissuto la morte consapevolmente. Di diverso tra loro due c’è solo un aspetto tecnico: il modo di darsi la morte».

In cosa lei si immedesima nel marito?
«La vita resta in chi è rimasto. Nel mio paese, San Candido, in Alto Adige, il cimitero è in centro e ai funerali partecipano tutti. La morte non fa paura, non viene confinata fuori dall’abitato. Ogni persona deve aver la possibilità di decidere come uscire da questo mondo. Il diritto all’eutanasia è strettamente legato al principio di autodeterminazione. Non dobbiamo aver paura del morire, ma dobbiamo garantire a tutti una morte dignitosa. Se vado dal medico non accetto un trattamento senza conoscerne gli effetti, il medico è obbligato a informarmi sulla diagnosi, le terapie, le controindicazioni. E io posso anche rifiutare o chiedere terapie diverse. Non possono essere violati i limiti imposti dal rispetto della persona umana Non dobbiamo cacciare la morte via dalla vita quotidiana: appartiene a ognuno. A far paura sono la sofferenza, il dolore, la non conoscenza».

Basta il testamento biologico?
«Sì, purché sia vincolante: il medico deve rispettare le volontà espressa dal paziente, altrimenti va chiamato a rispondere delle sue scelte. Ognuno di noi può rifiutarsi di prendere delle medicine o di sottoporsi a un intervento. E’ disumano che a un malato terminale questo diritto venga negato. In assenza di una regolamentazione a tutela della volontà del singolo, spesso i medici si trovano in difficoltà e sono spinti a scegliere l’accanimento terapeutico per evitare conseguenze legali».

In quali casi, in particolare?
«Soprattutto quando i parenti sono in disaccordo con il malato che vuole porre termine alla sua vita. Per la Costituzione il cittadino può rifiutare qualsiasi trattamento sanitario, anche salva-vita. Ma già oggi, in alcuni casi, i medici somministrano una dose maggiore di morfina per accelerare il decesso in modo silenzioso.

ALTRI ARTICOLI

Ultimi articoli